Leonardo Sciascia, Gli zii di Sicilia. Riassunto e recensione

FullSizeRender 2Gli zii di Sicilia è un’opera di Leonardo Sciascia, scritta tra il 1957-58. Inizialmente era composta da tre racconti, La zia d’America, La morte di Stalin, Il quarantotto, ai quali Sciascia aggiungerà nel 1960 L’antimonio.

«Io credo nei siciliani che parlano poco, che non si agitano, che si rodono dentro e soffrono: i poveri che ci salutano con un gesto stanco, come da una lontananza di secoli; e il colonnello Carini sempre così silenzioso e lontano, impastato di malinconia e di noia ma ad ogni momento pronto all’azione: un uomo che pare non abbia molte speranze, eppure è il cuore stesso della speranza…Questo popolo ha bisogno di essere conosciuto ed amato per ciò che tace, nelle parole che nutre nel cuore e non dice»

Ognuno dei racconti illustra uno spaccato di vita siciliana in epoca diverse e con protagonisti diversi. Leggendo ognuno dei racconti ci si addentra nelle vicende dei protagonisti che cercano di sopravvivere al cambiamento, voluto o subìto.
Filo comune dei quattro racconti è infatti la trasformazione dell’uomo e della società, a seguito di eventi cruciali della storia. La trasformazione, che sfocia anche nel trasformismo, consiste nel mettere al cospetto di un cambiamento radicale personaggi che fino a quel momento si erano adattati a un modo di vivere.

In La zia d’America Sciascia racconta le trasformazioni culturali e sociali di un piccolo paese siciliano durante l’intervento dell’esercito americano nel corso della seconda guerra mondiale. Il protagonista è un ragazzino che vive con la sua famiglia, con uno zio convinto fascista anti-americano e il padre super partes, e assiste alla ventata di novità portata dagli americani. La maggior parte degli abitanti del paese, fino al giorno prima convinti fascisti, si trasformano in filo americani e, se è vero che aumentavano le comodità e l’ottimismo, i vecchi vizi della società erano già pronti ad adattarsi e continuare a operare indisturbati.
Il ritorno in paese della zia materna sarà per il protagonista una delusione: la zia odia il paese, è disabituata alla povertà e non vede l’ora di tornarsene negli USA. Il racconto di concluderà con il fidanzamento programmato tra sua cugina americana e suo zio…sì, proprio l’ex fascista!

In La morte di Stalin il protagonista è Calogero Schirò, bottegaio convinto sostenitore del comunismo. Calogero però non è un comunista come gli altri, lui sogna e dialoga con Stalin in persona che lo rassicura, o lo mette in guardia, sugli sviluppi della politica intera ed estera sovietica e italiana. Esilarante è lo scambio di battute al vetriolo tra Calogero e l’arciprete del paese, che si ferma a chiacchierare con lui davanti la sua bottega.
Anche lui, come il protagonista de La zia d’America, è messo al cospetto di un cambiamento: con la fine della guerra, a passioni sopite, la figura un tempo idolatrata di Stalin inizia a essere messa in discussione. In molti tra i comunisti stessi iniziano a prendere le distanze dal leader sovietico; egli non è più il salvatore del popolo ma un dittatore spietato come gli altri. Calogero si rende conto di ciò ma resta fedele a Stalin e continua a sognarlo. Quando il russo morirà

Il quarantotto è un racconto ambientato in epoca risorgimentale. Il lascivo barone Graziano amministra le sue ricchezze barcamenandosi tra ruffianeria e favoritismi. Nella sua famiglia tiene un piede in due scarpe, come a voler anticipare cosa accadrà: ha una relazione con l’inserviente Rosalia, accusa il povero marito di essere un sovversivo e lo fa arrestare, viene scoperto dalla moglie Concettina che minaccia di dire tutto al Vescovo suo amico. Il barone sistema tutto allontanando Rosalia con cui continua ad avere la relazione.
All’arrivo delle truppe capitanate da Giuseppe Garibaldi il barone inizialmente recita la parte del reazionario, per poi invitare proprio Garibaldi nella sua abitazione trattandolo come un rispettoso ospite al pari dei nobili che frequentava un tempo. Garibaldi è accompagnato anche da Ippolito Nievo, celebre patriota e scrittore, che non vede di buon occhio il comportamento del barone.

L’ultimo racconto che chiude la raccolta è l’Antimonio. La scelta del nome, che si riferisce all’elemento chimico che scrive Sciascia “gli zolfatari del mio paese chiamano il grisou” (miscela altamente infiammabile), rimanda alla condizione in cui vive il protagonista, umile zolfataro siciliano. Data la sua precarietà economica decide di arruolarsi per combattere nella guerra civile spagnola tra le truppe fasciste. Insieme al compagno Ventura il protagonista si renderà conto dell’ingiustizia della guerra, che vede i poveri italiani combattere contro i poveri spagnoli per assecondare le trame politiche di Mussolini. Al suo ritorno in paese a causa di una ferita in battaglia il protagonista si renderà subito conto dell’insensibilità dei suoi famigliari nei confronti della guerra e della violenza e della loro bramosia per il denaro guadagnato combattendo.

Gli zii di Sicilia è un libro che si legge con il sorriso amaro, con lampi di ironia che Sciascia sapientemente inserisce per rendere più verosimili il ritratto dei personaggi. Ma accanto alle battute sagaci e a quadri famigliari problematici, ciò che emerge è il carattere siciliano che l’autore vuole esaltare. La forza dei siciliani che Sciascia racconta è quella che gli permette di avere negli occhi la speranza, la propria integrità, quella che non permette di arrendersi mai e di guardare sempre avanti, restando sempre se stessi.