John Fante, La confraternita dell’uva, Einaudi. Recensione

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Van Gogh, I bevitori e le quattro età dell’uomo, 1890

La confraternita dell’uva (The Brotherhood of the Grape) è un romanzo di John Fante del 1977 pubblicato in Italia solo nel 1990.

Per me che sono abruzzese aver letto questo romanzo è stato come ascoltare i racconti vissuti da un lontano parente, americano appunto, che mantiene tuttavia la sua originale italianità. Come non sorridere al cospetto di un personaggio burbero e menefreghista come Nick Molise? Come non ritrovarci uno zio, un nonno, un anziano della famiglia? Certo, gli atteggiamenti al limite dell’erotomania sono difficili da ritrovare, ma quel modo di intendere la vita, tutta lavoro e dopolavoro, con l’ambiente domestico tenuto affannosamente unito dalla moglie beh, è una realtà che non è difficile ritrovarsi in una vecchia famiglia abruzzese e non. 

Parlavo della famiglia, certamente è al centro di questo romanzo. Nick Molise è un muratore emigrato negli Usa, a San Elmo, e ammazza le giornate della vecchiaia bighellonando in città, giocando a carte e tracannando vino e altri alcolici in compagnia della sua banda di amici, al cafe Roma. Vive (si fa per dire) con sua moglie, anch’ella italiana e timorata di Dio. Come ogni famiglia italiana che si rispetti ha tanti figli, tre maschi e una femmina, che preferiscono non frequentarlo. Lui ha un solo cruccio: non essere riuscito a tramandare la sua passione per il lavoro di muratore ai suoi figli maschi.

A nessuno, tutti hanno scelto una professione totalmente diversa. Eppure lui, Nick, era stato un formidabile lavoratore. In città si ricordano tutti di lui e della sua maestria, tanto che diversi edifici cittadini sono stati eretti proprio da lui. 

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John Fante

I suoi figli, quando possono, lo evitano. Mario, che stava per diventare un giocatore di baseball professionista e per colpa di suo padre non ci è riuscito. Virgil, che lavora in banca e pensa solo ai soldi, Stella che cerca di imporre ai genitori e Henry Molise, lo scrittore, che con un abile gioco di prestigio verrà incastrato dal vecchio. Gli toccherà passare con lui più di una settimana per costruire un affumicatoio ad una famiglia di conoscenti. Nick Molise ci teneva tanto a costruirlo, tanto da ignorare gli acciacchi della sua età. 

Non c’era da stupirsi che fosse cocciuto, capriccioso, egoista e po’ tocco. Ed era pur sempre mio padre. Se avessi voltato le spalle al suo ultimo grido d’aiuto, sarebbe potuta essere una morte più rapida, e io non volevo che un’ombra rimanesse sul resto della mia vita.

La confraternita dell’uva racconta di una famiglia disunita. Impossibile, fino a quando c’è Nick Molise, che si ubriaca tutti i giorni, che molesta le donne e che non ha il minimo rispetto per sua moglie e per la vita coniugale. I suoi compagni del Cafe Roma, italoamericani, sono in tutto e per tutto come lui. Appena hanno la possibilità salgono in macchina e raggiungono il vigneto di , poco fuori dalla città, a bere vino di chianti fino allo sfinimento (la prima edizione del romanzo si intitolava “La confraternita del Chianti”). Il protagonista , costretto a lasciare la sua famiglia per accontentare il padre, vivrà un’esperienza al limite della sopportazione umana eppure, tra le stravaganze e le follie del suo babbo, cambierà (pochissimo ma cambierà) la sua idea che ha di lui.

Accanto al ritratto spassoso di questo personaggio c’è da considerare anche la miriade di aspetti negativi. Nick Molise reca molta sofferenza a sua moglie, una donna ormai arresa alla vita, che finge di non far caso all’assenza dei figli, che si comporta come se non succedesse nulla di strano. E’ sempre in cucina a preparare i loro piatti preferiti, conserva tutto della loro infanzia; come se il tempo per lei si fosse fermato. 

41ecuv2hkdlRiesce a far sorridere e riflettere questo libro e lo consiglio assolutamente.

L’ultimissima edizione Einaudi che ho acquistato de La confraternita dell’uva ha l’introduzione scritta dal grande Vinicio Capossela. Le pagine del cantautore sono un’opera d’arte nell’opera d’arte. Azzeccatissima l’idea di farla scrivere a lui: Capossela con il suo stile di scrittura unico riesce veramente a tirare per la manica il lettore, preparandolo alle vicende dell’opera.

Insomma, il romanzo l’ho divorato in pochissimi giorni e già ho pronto “Sogni di Bunker Hill” di Fante, chissà se mi strapperà un sorriso come ha fatto La Confraternita dell’Uva.