Il Castello di Kafka, riassunto e recensione

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Bruegel, La grande Torre di Babele

Il Castello è l’ultimo romanzo, rimasto incompiuto, scritto da Franz Kafka nel 1922 e pubblicato postumo nel 1926. Narra le vicende di K. un agrimensore che arriva nel paese in cui è stato richiesto per svolgere dei lavori. Tra numerosi ostacoli e lo sguardo rivolto verso il misterioso Castello, da cui giungono gli ordini di strani e inafferrabili funzionari in paese, il protagonista cercherà in tutti i modi di entrar a far parte della comunità, senza riuscirci.

Nel Castello Kafka  cerca di confondere qualsiasi punto di riferimento del lettore. Risulta impossibile trovare un significato univoco agli avvenimenti che si susseguono.  All’inizio del romanzo gli aiutanti assegnati all’agrimensore K. ammettono candidamente di conoscere nulla di agrimensura; ci si chiede quale sia il loro compito effettivo se non possono essere d’aiuto. Lo stesso

L’agrimensore K. è un uomo di cui non si conosce nulla. Piombato nel paese con l’incarico di occuparsi di faccende agrarie si immerge da subito nella realtà che lo circonda. Mi piace azzardare un punto di contatto tra questa figura e il Dante del prologo dell’Inferno.

“Mi ritrovai in una selva oscura” suggerisce l’immersione in media res. Del personaggio Dante non si conosce nessun aspetto prima del suo avvicinarsi alle porte dell’Inferno e lo stesso è per K.: l’incipit del Castello infatti recita:

Era tarda sera quando K. arrivò. Il paese era affondato nella neve. La collina non si vedeva, nebbia e tenebre la nascondevano, e non il più fioco raggio di luce indicava il grande Castello. K. si fermò a lungo sul ponte di legno che conduceva dalla strada maestra al villaggio, e guardò su nel vuoto apparente.

L’obiettivo immediato (e ingenuo) del protagonista è il raggiungimento del Castello. Ma da subito è ostacolato dalla neve, dal freddo e dalla lontananza.

Difficile chiarire oggettivamente cosa rappresenta il Castello in quest’opera kafkiana. L’agrimensore K. inizialmente lo considera semplicemente l’edificio dal quale si amministrano gli affari del paese, poi immerso nella realtà e nella vita dei suoi abitanti se ne disinteressa gradualmente, fino a non accennare nessun espediente per raggiungerlo di persona.

I personaggi che costellano il romanzo come Frieda, Pepi, gli aiutanti, Barnabas, l’oste e l’ostessa hanno tutti una relazione con quell’entità misteriosa che avvolge la realtà del paese. Il lettore è costantemente consapevole della presenza di trame e decisioni che qualcun altro prende a scapito dei personaggi senza capire come, in che modo e, soprattutto, perché. Si potrebbe cercare una spiegazione a questa entità inafferrabile che condiziona le scelte e le relazioni tra le persone in Dio, o nella Grazia?

Si sa che lo scrittore ceco fu molto interessato al pensiero di Kierkegaard. In Timore e Tremore del filosofo c’è il rapporto tra Dio e uomo e fede e ragione e la volontà di Dio è presente.

Se l’uomo non avesse una coscienza eterna, se al fondo d’ogni cosa ci fosse una potenza selvaggia e ribollente che produce ogni cosa, il grande e il futile, nel turbine d’oscure passioni; se il vuoto senza fondo, che nulla può colmare, si nascondesse sotto le cose, che cosa sarebbe la vita, se non disperazione?

In Kafka la volontà del Castello o dei funzionari è fumosa. In Cosa ha veramente detto Kafka, 1970, Ubadini Editore, Remo Cantoni esclude un riferimento così plateale alla visione cristiana di Kierkegaard: “Vi sono” scrive Cantoni “nel romanzo motivi kierkegaardiani, ma il tentativo di ritrovare riscontri troppo puntuali, di teologizzare il Castello, scorgendo in Kafka un teologo della crisi che si esprime attraverso metafore letterarie, va respinto”.

Cosa rappresenta dunque il Castello? Può essere una sorta di realtà agognata, idealizzata e magica a cui l’uomo tende con tutto se stesso inutilmente. I personaggi del romanzo vivono e operano costantemente in relazione al Castello. Attendono i suoi favori, il riconoscimento o perfino la considerazione.

Nessuno fa la “cosa giusta”; nonostante gli sforzi di tutti i personaggi a barcamenarsi in cerca del fine a cui tendono, nessuno ci riesce e le letture delle vicende si prestano quindi a innumerevoli ragionamenti.

Succede ad esempio a Frieda, la donna di cui K. si innamora. Il fatto (spogliato di qualsiasi interpretazione) è il seguente: l’agrimensore K. si reca all’osteria e si innamora di Frieda, la convince a seguirlo per vivere insieme.

Ma la realtà appare subito condizionata; è il lettore stesso che non crede fino in fondo ai fatti perché anche lui viene calato nella nebbia fitta  .

Diventa quindi verosimile che K. ha sedotto Frieda per avvicinarsi al funzionario Klamm, di cui lei era stata l’amante; ma è altrettanto verosimile credere al racconto di Pepi che invece accusa Frieda di aver sfruttato K. per mettersi in mostra agli occhi del paese. A chi dare ragione? Chi ha la ragione? Il lettore fino all’ultima pagina non riesce proprio a capirlo.

Questa è la più grande forza di Kafka: il disorientare il lettore e metterlo al cospetto dell’impotenza che pervade tutti e tutto. Nessuno può padroneggiare ciò che vuole fino in fondo, perché ci sono delle forze che agiscono contro la sua volontà.

_35TRAMA. Riassunto

L’agrimensore K. si reca in un paese per svolgere dei lavori commissionati dall’amministrazione del Castello. Gli vengono assegnati due aiutanti ma non conosce subito nel dettaglio le sue mansioni e così si affida a un messaggero, Barnabas, che gli garantisce di comunicargli al più presto disposizioni ufficiali di Klamm. Ma il tempo passa e K. non sa bene cosa fare. Pensa di recarsi al Castello e chiedere da se, o di contattare Klamm ma non lo fa; intanto ha una relazione con Frieda, che lavora nella mescita dell’Albergo dei Signori. Si reca dal sindaco per avere delucidazioni e viene convinto a lavorare come bidello nella scuola del paese, insieme a Frieda e i due aiutanti. Una sera, mentre è a casa dei Barnabas per attendere il messaggero, viene a conoscenza della storia travagliata della famiglia e, sulla via del ritorno verso la scuola, incontra uno degli aiutanti che lo informa della volontà di Frieda di stare con lui e tornarsene alla mescita. K. si reca all’Albergo dei Signori chiamato da un funzionario e incontra Pepi che le rivela scomode verità che riguardano la sua ex amante.

PERSONAGGI.

K. è il protagonista del romanzo. Di mestiere è agrimensore ma non riesce a svolgere il suo compito nel paese. Finirà per lavorare come bidello alla scuola e sarà “inglobato” nel villaggio.

Frieda. E’ la donna che lavora alla mescita dell’Osteria. Ex amante del funzionario Klamm viene sedotta da K. e vive con lui con un breve periodo.

Klamm. Capo della Sezione X del Castello. Si occupa dell’affare K. Il protagonista non riuscirà mai a raggiungerlo, lo scruterà dal buco della serratura nell’Albergo dei Signori.

Famiglia Barnabas. E’ la famiglia a cui appartiene il messaggero di K. Un tempo rispettata in paese è finita per essere emarginata dal resto della comunità a causa del rifiuto di una delle due ragazze di nome Amalia alle avance di un funzionario.

Pepi. E’ la ragazza che prende i posto di Frieda alla mescita. Molto più giovane di lei era inizialmente cameriera. Alla fine del romanzo si confida con K. e offre un ritratto meno felice della sua predecessora.

Oste e Ostessa. Gestiscono l’Albergo dei Signori. L’Ostessa in particolare non vede di buon occhio K. al punto di cercare di separarlo da Frieda.

Sindaco. K. si reca da lui per chiarire la sua posizione e il suo lavoro nel paese. Vecchio e malato è assistito da sua moglie che sbriga le faccende amministrative nella sua stanza da letto. E’ lui a suggerire a K. di lavorare come bidello.

Aiutanti. Non conoscono nulla di agrimensura ma vengono affidati a K. dall’amministrazione. Strambi, bizzarri e invadenti daranno un sacco di noie al protagonista che li scaccerà.