Ignazio Silone, Il seme sotto la neve. Riassunto e recensione

IMG_2181E’ stata una lettura impegnativa quella del romanzo Il seme sotto la neve di Ignazio Silone, scritto nel 1940 durante l’esilio dello scrittore in Svizzera e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1950.

E’ stata una lettura impegnativa perchè Il seme sotto la neve è un insieme di storie, tutte apparentemente slegate tra loro, con protagonisti diversi personaggi che hanno una visione della realtà che non coincide, ogni volta divergente.

TRAMA

Il protagonista è Pietro Spina, un giovane comunista che ha abbandonato la sua famiglia, che torna nel suo paese natale dopo aver viaggiato e vissuto il dramma della persecuzione fascista nel romanzo Vino e Pane. Pietro vive dalla nonna, donna Maria Vincenza, un’anziana “Spina” che gode di un certo rispetto tra gli abitanti del paese che la considerano esempio di virtù.  Silone non immette subito nella storia Pietro ma preferisce delineare il contesto storico-sociale nel quale la sua vicenda si svolge. In un paesino abruzzese s’intrecciano interessi economici, litigi, dispetti e prevaricazioni tra famiglie alla ricerca smaniosa di ricchezze e riconoscimenti materiali. Accanto alla miseria, all’analfabetismo e all’ignoranza della maggioranza degli abitanti, pochi “benestanti” (tra cui alcuni membri della famiglia Spina) si azzuffano per ottenere appalti e favori accativandosi il lasciapassare da avidi funzionari fascisti. Donna Maria Vincenza riesce a ritrovare suo nipote Pietro e lo accoglie in casa, in cui vive insieme alla domestica Natalina. Pietro però è insofferente, si sente come un prigioniero, tra le agiatezze che ormai non sente più sue; dopo essere vissuto in una stalla in compagnia di un asino e un povero sordomuto egli ha conosciuto una dimensione esistenziale del tutto diversa.

….”Durante lunghe ore d’immobilità, ho avuto dunque d’avanti ai miei occhi, a pochi centimetri di distanza, come unico orizzonte, quel pezzo di terra. La terra non l’avevo mai vista così da vicino. Non avevo mai pensato che una zolla di terra, osservata da presso, potesse essere una realtà così viva, così ricca, così immensa, un vero cosmo, un insieme inestricabile di montagne valli paludi gallerie, con ignoti e in massima parte sconosciuti abitatori. Quella è stata, nel vero senso della parola, la mia scoperta della terra. La stranezza è questa: sono nato qui, in campagna, e poi ho viaggiato mezza Europa, sono stato una volta, per un congresso, fino a Mosca; quanti campi, quanti prati ho dunque visto; certo migliaia di colline e di montagne, milioni di alberi, centinaia e centinaia di fiumi; eppure non avevo mai visto, in quel modo, la terra. Pensa un po’, nonna, se gli sbirri non mi avessero costretto a nascondermi in una spelonca, dopo essere vissuto varie decine di anni, non avrei neppure saputo cos’è la terra. La parola terra, devo dirti, ha preso per me un significato molto preciso; essa indica adesso per me anzitutto quella tale zolla di terra, da me vista così da vicino, conosciuta così personalmente, e con la quale ho vissuto un certo tempo. La parola terra insomma adesso è per me come il nome di un buon conoscente. Devo dirti subito, nonna, ma forse tu l’avrai già capito, che quella zolla non era affatto d’una terra in qualche modo speciale, non era affatto terra scelta, particolarmente fertile, era proprio un pezzo di terra qualsiasi. Quale avvenimento emozionante fu per me un mattino la scoperta, in quella zolla di terra, d’un chicco di grano in germoglio. In principio temei che il seme fosse già morto; ma dopo aver spostato, per mezzo d’una festuca di paglia, con lentissime precauzioni, il terriccio che l’attorniava, scoprii una linguetta bianca che da esso usciva, una linguetta viva, tenerissima, della forma e grandezza d’un minuscolo filo d’erba. Ah, tutto il mio essere, tutta la mia anima, nonna, si raccolse d’un tratto attorno a quel piccolo seme.”….

 L’arrivo in paese di Infante, il suo amico sordo con cui condivideva la stalla, lo spinge a evadere di nuovo, respingendo la grazia governativa che sua nonna aveva chiesto al notabile Don Coriolano. Incontra un ricco decaduto di nome Simone “la-faina” e decide di vivere nella sua casa insieme a Infante. I tre per qualche tempo vivono in totale isolamento dal resto del paese e dai suoi squallidi intrighi. Insieme a loro ci sono due animali: un cane di nome leone e un asino che chiamano Cherubino, che trattano come un essere umano. In quella semplicità Pietro ritrova se stesso e si sente finalmente in pace. Ma in un paese come Pietrasecca le voci si diffondono presto e, dopo essere stato scoperto dal proprietario della stalla Sciatapp tornato per estorcere ricchezze alla nonna in cambio del suo silenzio sulla vicenda, decide di fuggire a Acquaviva, in compagnia di Faustina, ragazza di cui era stato sempre innamorato. Ad Acquaviva vive in un albergo e, per non alimentare sospetti, si spaccia per don Saverio Spina, suo zio capitano deceduto. Faustina a causa di problemi di salute torna a Pietrasecca e Pietro viene a sapere dell’arresto di Infante, accusato di aver aggiunto punti interrogativi a scritte fasciste sui muri del paese. I carabinieri convocano suo padre Cesidio, un cafone che ha vissuto in America in cui ha perso un braccio. Infante non vorrebbe seguire il padre, ma è costretto ad andare a vivere con lui. Pietro intanto viene spronato da don Severino a tornare a Faustina per sposarla lontano dall’Italia. Proprio prima di partire Pietro decide di salutare Infante ma, appena entrato in casa, si accorge che l’amico ha ucciso il padre. Con un estremo atto di generosità Pietro lascia fuggire l’assassino e decide di addossarsi la colpa per lo spaventoso omicidio.

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Essendo abruzzese ho trovato molto interessanti le descrizioni dei paesi scelti da Silone, attraverso le quali si riesce a percepire la loro forma, la loro originalità e i caratteri tipici dei suoi abitanti. Come se fosse tutto ricoperto dalla neve il protagonista Pietro, ma anche il lettore, si rende subito conto della realtà ovattata che regna tra le casupole e nelle menti dei personaggi che vi ruotano attorno. Per una strana miscela di indifferenza e paura nessuno sembra rendersi conto della realtà degradante nella quale vive. 

L’unico che cerca di ribellarsi, rinunciando alle armi per scegliere la via del dissenso applicato nella vita quotidiana è proprio Pietro, ragazzo comunista di ritorno in paese dopo un lungo viaggiare. 

Durante la lettura ho trovato diversi punti di contatto tra la figura di Pietro e quella di San Francesco, pur ricordando che il primo si professa marxista. Il santo di Assisi del resto lo si può ritenere un rivoluzionario della chiesa cattolica. Il suo abbandono delle ricchezze materiali in nome della fede lo ha portato a scontrarsi senz’altro con il mondo nel quale viveva, perfino con gli alti rappresentanti della chiesa. Così  si può notare (nella prima parte del romanzo) l’insofferenza di Pietro non riprendere confidenza con la vita “agiata” a casa della nonna donna Maria Vincenza; dalla quale fuggirà per unirsi con Infante e Simone. Altro punto di contatto con San Francesco sta nel rapporto tutto particolare tra questo personaggio e gli animali: sembra infatti trattare l’asino Cherubino come se fosse un quarto membro della compagnia. In ultimo la presenza di Faustina, che come Santa Chiara lascia tutto e segue Pietro nella sua fuga a Acquaviva. Faustina poco prima della partenza aveva ascoltato da Simone tutta la vicenda di Pietro che l’aveva molto colpita tanto da spingerla a seguirlo per amore e per la stessa idea di vita. 

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Ignazio Silone

Seppur scritto in maniera non proprio lineare, il romanzo di Silone “Il seme sotto la neve” offre riflesso il punto di vista dello scrittore sulle ingiustizia, attraverso le idee e la vicenda dell’uomo in fuga Pietro Spina.