Verrà la morte. Gli occhi che sconvolsero Pavese

Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Analisi e commento

Cesare Pavese nella poesia verrà la morte e avrà i tuoi occhi offre un esempio straordinario del tormento e della disperazione che può colpire un uomo innamorato di una donna, che vede il suo sentimento non ricambiato.

Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Analisi e commento
Constance Dowling

Tutti pensiamo alla morte, ma che faccia dovrebbe avere? Che viso? Che sguardo? Cesare Pavese lo sapeva benissimo, anzi, nel 1950 era certo che la morte avesse gli stessi occhi di Constance Dowling, attrice americana con la quale ebbe una relazione, bruscamente interrotta. La poesia Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, composta da due strofe di 19 versi novenari, è inserita in una raccolta dal titolo omonimo uscito postumo, nel 1951, insieme ad altre dieci poesie (otto in italiano e due in inglese) inedite di Pavese. Le poesie risalgono alla primavera del 1950 e furono scritte per Constance Dowling.

Pavese conobbe Constance Dowling nel capodanno 1950, insieme a sua sorella Doris, a casa di amici. Pavese s’innamorò dell’attrice, che in quel periodo aveva sulle spalle il peso di insuccessi professionali e di una storia finita male con Elia Kazan. Il suo amore però non fu corrisposto e Pavese cercò disperatamente di avvicinarsi a lei.

In una lettera datata 17 marzo 1950 Pavese scrisse alla Dowling:

Cara Connie, volevo fare l’uomo forte e non scriverti subito, ma a che servirebbe? Sarebbe soltanto una posa. Ti ho mai detto che da ragazzo ho avuta la superstizione delle “buone azioni”? Quando dovevo correre un pericolo, sostenere un esame, per esempio, stavo attento in quei giorni a non essere cattivo, a non offendere nessuno, a non alzare la voce, a non fare brutti pensieri. Tutto questo per non alienarmi il destino. Ebbene, mi succede che in questi giorni ridivento ragazzo e corro davvero un gran pericolo, sostenendo un esame terribile, perché mi accordo che non oso esser cattivo, offendere gli altri pensare pensieri vili. Il pensiero di te e un ricordo o un’idea indegni, brutti, non s’accordano. Ti amo.

Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me. […] Amore, il pensiero che quando leggerai questa lettera sarai già a Roma – finito tutto il disagio e la confusione del viaggio -, che vedrai nello specchio il tuo sorriso e riprenderai le tue abitudini, e dormirai da brava, mi commuove come tu fossi mia sorella. Ma tu non sei mia sorella, sei una cosa più dolce e più terribile, e a pensarci mi tremano i polsi.

Constance aveva una relazione con Andrea Checchi, attore con il quale aveva recitato nel suo ultimo film e progettava di tornarsene in America. Pavese allora scrisse in inglese una lettera drammatica il 17 aprile del 1950 (tradotta poi da Italo Calvino), consapevole di non poter condividere con la donna il sentimento amoroso.

Carissima, non sono più in animo di scrivere poesie. Le poesie sono venute a te e se ne vanno con te. Questa l’ho scritta qualche pomeriggio fa, durante le lunghe ore all’Hotel in cui aspettavo, esitando, di chiamarti. Perdonane la tristezza, ma ero anche triste. Vedi, ho cominciato con una poesia in inglese e finisco con un’altra. C’è in esse tutta l’ampiezza di quel che ho sperimentato in questo mese: l’orrore e la meraviglia.

E’ in questo stato d’animo che Pavese scrive le sue ultime poesie, poco prima di suicidarsi. Pavese morì in una stanza d’albergo a Torino il 27 agosto del 1950. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è una poesia drammatica, in cui evidente è la disperazione del poeta, alle prese con un tremendo mal di vivere.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Pavese associò a lei, donna amata, ai suoi occhi, la fine della vita, la morte dell’io poetico. Può un uomo arrivare a sentire tutto ciò? Notiamo nella poesia di William Butler Yeats Quando sarai vecchia” lo stesso riferimento agli occhi della donna amata, ma con accezione completamente diversa.

ricorderai sognando 5
dello sguardo che i tuoi occhi ebbero allora,
delle loro profonde ombre.
Di quanti amarono la grazia felice
di quei tuoi momenti
e, d’amore falso o a volte sincero,
amarono la tua bellezza. 10

In Yeats gli occhi sono, immaginando la vecchiaia della donna e quindi usando sempre il futuro, simbolo della giovinezza perduta, delicati gioielli fatti di tenerezza e momenti di tristezza. Il connubio occhi-amore è ben radicato nella storia della poesia, e gli esempi sarebbero infiniti. Occhi-amore è sicuramente un’associazione cardine della poesia stilnovista.

Nel celebre sonetto Voi che per li occhi mi passaste ’l core di Guido Cavalcanti gli occhi, e quindi lo sguardo della donna, sono talmente potenti da trafiggere il suo cuore, fino a far giungere la sua immagine all’anima per destarla e risvegliare nel poeta la forza impetuosa dell’amore.

Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore. 5

Nel sonetto Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo di Guinizzelli un altro esempio di come l’amore passa attraverso gli occhi e lo sguardo della donna amata. Di seguito la prima e la terza strofa del sonetto.

Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo
che fate quando v’encontro, m’ancide:
Amor m’assale e già non ha riguardo
s’elli face peccato over merzede,

Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende

Cesare Pavese con Constance Dowling nel 1950
Cesare Pavese con Constance Dowling nel 1950

Pavese quindi riprende il topos della lirica stilnovista e lo estremizza: gli occhi dell’amata non provocano angoscia in virtù della loro capacità di trasmettere amore e sconquassare l’animo del poeta, ma sono veicoli di morte, anzi sono esattamente i mezzi attraverso i quali la morte guarda, per l’ultima volta, la sua vittima.

Nella prima strofa Pavese chiarisce cos’è la morte, paragonandola e associandola a varie immagini. Il pensiero della morte ”ci accompagna dal mattino alla sera” non concedendo tregua ed è insonne, sordo, come un rimpianto o un vizio assurdo. Attraverso lo sguardo di quella donna amata da cui è stato ripudiato la morte si manifesta: è una parola inutile, un grido soffocato e un silenzio. L’indugiare sul silenzio è la caratteristica principale della poesia, nella quale l’attenzione è tutta rivolta allo sguardo, non alle parole.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi 5
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.

Nella seconda strofa Pavese ritorna sullo sguardo e avverte il lettore che la morte ne possiede uno per tutti. Ma lui sa che lo sguardo della sua morte avrà gli occhi della sua donna amata. La morte inevitabile arriverà e Pavese, rassegnato, immagina come sarà; se nella prima strofa parlava del pensiero della morte, adesso prefigura la sua attuazione usando il futuro. Ma leggendo i suoi versi quel futuro non appare lontanissimo, anzi, sembra riferirsi ad azioni in procinto di avverarsi da un momento all’altro “Sarà come smettere un vizio,/ come vedere nello specchio riemergere un viso morto,/ come ascoltare un labbro chiuso.” Da sottolineare il coinvolgimento sensoriale: “vedere riemergere” e “ascoltare un labbro chiuso”.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

La poesia si conclude con un ulteriore riferimento al silenzio, come elemento definitivo, che non lascia speranze di redenzione. L’utilizzo della seconda persona plurale, “ci accompagna”, “quel giorno sapremo anche noi”,“scenderemo nel gorgo muti”, cioè finiremo nell’oblio, può essere spiegato in vari modi. 

Pavese scrive al plurale perché vuole oggettivare la sua esperienza, mettendo in guardia anche il lettore sull’esperienza della morte, che colpisce tutti e allo stesso modo. Oppure può riferirsi alla sua duplice morte: dell’io poetico e del poeta in carne ed ossa, insieme sul punto di dissolversi per sempre; oppure può voler riferirsi all’atto della donna amata che lo accompagna verso l’oblio, senza che lui, il poeta, può opporre resistenza al suo destino.

L’espediente contribuisce a oggettivare il messaggio della poesia. In Verrà la morte e avrà i tuoi occhi coesiste l’esperienza del poeta ma anche la morte, ultimo atto della vita, comune a tutti gli uomini.