Gli sbarchi dei migranti e quella Profezia….

di Stefano Lanzano

In questi giorni confusi, in cui notizie tragiche dei migranti si addensano nei notiziari e sui giornali, è impossibile non pensare a una poesia di Pier Paolo Pasolini. Sembra rimbombare in testa, quando assistiamo inermi a migliaia di vite in pericolo, in balia del mare o dei pregiudizi dell’uomo.
Sto parlando ovviamente di “Profezia”, un componimento scritto 50 anni fa, ma che risulta incredibilmente visionario, se si considera la condizione attuale della penisola italiana e dell’Europa intera, diventate mete di migliaia di migranti.
Pasolini scrisse questa poesia intorno al 1962 e la inserì in Poesie in Forma di Rosa , poi effettuò una seconda stesura nel 1964 dedicandola a Jean Paul Sartre, “che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri”.

(Video tratto da “La voce di Pasolini”.La poesia è recitata da Toni Servillo)


PROFEZIA
Era nel mondo un figlio
e un giorno andò in Calabria:
era estate, ed erano
vuote le casupole,
nuove, a pan di zucchero,
da fiabe di fate color
delle feci. Vuote.
Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi
senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne.
Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio
scuoteva paglia nera
come nei sogni profetici:
e la luna color delle feci
coltivava terreni
che mai l’estate amò.
Ed era nei tempi del figlio
che questo amore poteva
cominciare, e non cominciò.
Il figlio aveva degli occhi
di paglia bruciata, occhi
senza paura, e vide tutto
ciò che era male: nulla
sapeva dell’agricoltura,
delle riforme, della lotta
sindacale, degli Enti Benefattori,
lui. Ma aveva quegli occhi.
La tragica luna del pieno
sole, era là, a coltivare
quei cinquemila, quei ventimila
ettari sparsi di case di fate
del tempo della televisione,
porcili a pandizucchero, per
dignità imitata dal mondo padrone.
Ma si può vivere là! Ah, per quanto ancora, l’operaio di Milano lotterà
con tanta grandezza per il suo salario? Gli occhi bruciati del figlio, nella
luna, tra gli ettari tragici, vedono ciò che non sa il lontano fratello
settentrionale. Era il tempo
quando una nuova cristianità
riduceva a penombra il mondo
del capitale: una storia finiva
in un crepuscolo in cui accadevano
i fatti, nel finire e nel nascere,
noti ed ignoti. Ma il figlio
tremava d’ira nel giorno
della sua storia: nel tempo
quando il contadino calabrese
sapeva tutto, dei concimi chimici,
della lotta sindacale, degli scherzi,
degli Enti Benefattori, della
Demagogia dello Stato
e del Partito Comunista..
…e così aveva abbandonato
le sue casupole nuove
come porcili senza porci,
su radure color delle feci,
sotto montagnole rotonde
in vista dello Jonio profetico.
Tre millenni svanirono
non tre secoli, non tre anni e si sentiva dinuovo nell’aria malarica
l’attesa dei coloni greci. Ah, per quanto tempo ancora, operaio di
Milano,
lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?
Quasi come un padrone.
Ti porterebbero su
dalla loro antica regione,
frutti e animali, i loro
feticci oscuri, a deporli
con l’orgoglio del rito
nelle tue stanzette novecento,
tra frigorifero e televisione,
attratti dalla tua divinità,
Tu, delle Commissioni Interne,
tu della CGIL, Divinità alleata,
nel meraviglioso sole del Nord.
Nella loro Terra di razze
diverse, la luna coltiva
una campagna che tu
gli hai procurata inutilmente.
Nella loro Terra di Bestie
Famigliari, la luna
è maestra d’anime che tu
hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere
è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa
e tu ascolta ciò che per grazia il flglio sa. (Se egli non sorride
è perché la speranza per lui
non fu luce ma razionalità.
E la luce del sentimento
dell’Africa, che d’improvviso
spazza le Calabrie, sia un segno
senza significato, valevole
per i tempi futuri!) Ecco:
tu smetterai di lottare
per il salario e armerai
la mano dei Calabresi.
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camice americane.
Subito i Calabresi diranno,
come malandrini a malandrini:
«Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!»
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica,
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per
implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come
banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantarono
ai massacri dei re,
essi che ballarono
alle guerre borghesi,
essi che pregarono
alle lotte operaie…
…deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri – usciranno da sotto la terra per rapinare –
saliranno dal fondo del mare per uccidere, – scenderanno dall’alto del
cielo
per espropriare – e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita

per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà –
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
– distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l’Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento…

Qual è il messaggio della poesia? A tal proposito cito le frasi di un interessante saggio, scritto dal sociologo e critico tedesco Peter Kammerer e pubblicato sul sito del Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa che trovate sul seguente link http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/molteniblog/la-poesia-profezia-di-ppp-tra-tragedia-e-utopia-di-peter-kammerer/.
Kammerer si chiede qual è il messaggio principale della poesia: “L’indicazione è precisa: ci troviamo di fronte ad una aporia” scrive “ci scontriamo con una pietra dello scandalo. L’esistenza del terzo mondo per il mondo industrializzato è scandalo, perché pone il problema non del concepire, ma del “ri-concepire” l’altro, cambiando i “nostri occhi troppo abituati alla nostra vita”, cosa che si può fare “solo attraverso Dio”.
Il concetto-chiave è ri-concepire l’altro, ovvero il migrante, esattamente ciò che con fatica stanno tentando di fare gli europei, ormai assuefatti dalla loro normalità, fatta di convenzioni, usi e regole.
Nel rispondere ad un lettore che gli poneva domande sul film La Rabbia, Pasolini giudica negativamente la “normalità”, vero appiattimento dell’esistenza umana.

Cos’è successo nel mondo, dopo la guerra e il dopoguerra?
La normalità.
Già, la normalità. Nello stato di normalità non ci si guarda intorno: tutto, intorno si presenta come “normale”, privo della eccitazione e dell’emozione degli anni di emergenza.
L’uomo tende ad addormentarsi nella propria normalità, si dimentica di riflettersi, perde l’abitudine di giudicarsi, non sa più chiedersi chi è.

Cosa succede se all’improvviso quella normalità, imposta per il poeta dal predominante pensiero borghese,  viene stavolta dall’arrivo di persone che hanno vissuto fuori da essa? Uno shock, uno scandalo.
La poesia è citata nel film di Pasolini Uccellacci e Uccellini, nella predica di San Francesco. E’ proprio il santo di Assisi a trovare la modalità esatta per giungere a ri-concepire l’altro: “Noi possiamo conoscervi solo attraverso Dio perché i nostri occhi si
sono troppo abituati alla nostra vita e non sanno più riconoscere quella che voi vivete nel deserto e nella selva, ricchi solo di prole. Noi dobbiamo
sapervi riconcepire e siete voi a testimoniare Cristo ai fedeli inariditi, con la vostra allegrezza, con la vostra pura forza che è fede”.
Per San Francesco sono loro, i migranti provenienti da terre lontane, gli uomini ancora “puri”, più vicini alla dottrina cristiana, non contaminati dalla normalità occidentale. Per Pasolini dunque sono loro gli esseri umani ancora salvi, come quelli delle borgate che però già durante la sua vita stavano scomparendo. L’ultima occasione per svegliare l’occidente.